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DEL

CHIHAPAURA

DRA
MA
TURG?

Anna Gubiani ha studiato drammaturgia presso la Scuola d'arte drammatica “Paolo Grassi” di Milano e studi teatrali presso l'Università di Bologna. Dopo aver lavorato come autrice freelance in Italia, dal 2007 ha lavorato per tre anni al Teatro di Erlangen e due anni al Teatro di Stato di Stoccarda come drammaturga e dramaturg. Dal 2012 al 2014 ha lavorato sia come dramaturg che come docente di scrittura drammatica presso, tra gli altri, l'Università di Erlangen-Norimberga. Alla fine del 2012, insieme ad Alessandro Di Pauli, fonda nel nord Italia il laboratorio di drammaturgia “Matearium”, che da allora dirige.

Dal 2015, lavora come drammaturga presso il WLB (Teatro Statale di Württembger).

Copia de Chi ha paura del dramaturg - POST IG (2).png

Che cos'è la drammaturgia?

La drammaturgia per me è “la rete di ferro che sostiene la casa”. Una rete che sta dentro al muro, che non si vede, ma c’è - ed è di ferro, sostiene quella casa persino se viene un terremoto.

“Drammaturgia” è una parola che racchiude tante cose. Proprio perché racchiude tante cose, spesso viene male interpretata ed è difficile descriverla.

Per esempio, se parliamo di drammaturgia in Germania, questa parola contiene già due significati diversi: da una parte stiamo parlando di drammaturgia come il percorso interno a un testo: come viene scritto, come si evolve, quali regole drammaturgiche ha al suo interno... Da un'altra parte, in Germania si può parlare anche di “drammaturgia di un teatro”, ovvero del programma del teatro: quale politica ha? Cosa viene rappresentato? Perché si fa teatro in quel teatro?

Il concetto di drammaturgia come programma di un teatro in Italia è meno diffuso, perché i teatri italiani solitamente sono soggetti a una forte logica di acquisto/vendita, mentre sono le compagnie a decidere i contenuti dei loro spettacoli.

Parlando della Germania nello specifico, ovvero la patria del Dramaturg: puoi spiegarci brevemente cosa vuol dire nel contesto teatrale tedesco questa figura e come invece si distingue dalla figura del drammaturgo?

Il caso della Germania è l'unico in cui si può parlare del Dramaturg come una figura storica. Il dramaturg è nato a metà del 1700, nel momento in cui nasceva l'idea di Germania come nazione; la Germania, in modo molto simile all'Italia, era costituita di tante “Länder” ovverosia regioni. In quel momento era necessaria una figura che fornisse un'idea complessiva di cosa doveva rappresentare il teatro per la nazione.

Il primo che ha lavorato in questo senso è stato Lessing. E’ stato lui, infatti, a scrivere un libro chiamato “Drammaturgia d’Amburgo”, che è considerato il libro che dà avvio alla figura del Dramaturg.

C'è un'altro motivo che spiega la nascita del Dramaturg in Germania e non in un'altro paese: una questione legata alla religione. La Germania è la patria del protestantesimo: la Bibbia, da un certo momento in poi, inizia ad essere reinterpretata dai singoli, ognuno per conto proprio. Cioè, si crea un'abitudine culturale ad analizzare le cose, un modus operandi che ha a che fare anche con una modalità di pensiero.

Questa visione analitica è quella che permette l'esistenza del dramaturg: il dramaturg è chi prende un testo (o uno spettacolo) e lo analizza, lo critica. Questa sua attitudine viene poi applicata al lavoro di consulenza alla regia. La/il regista fa delle cose, produce delle scene, ecc... Io, da dramaturg, do i miei feedback e racconto cosa vedo: “che cosa mi trasmette questa scena? C’è qualcosa che è necessario modificare?”. Divento un supervisore.

In Germania, criticare non è una cosa negativa, non viene intesa come una questione “personale”: criticare significa analizzare, criticare è parte fondamentale del pensiero umano e serve per migliorare. Ti porta a chiederti cosa vuoi, cosa vuol dire questa storia oggi, perché la ri-raccontiamo… Questo “porsi delle domande” è l’attività principale del dramaturg. Secondo me il dramaturg in Germania può essere definito come un garante della qualità.

Ci sarebbe da fare una riflessione, tra l’altro, sulla questione di genere: il dramaturg nasce come figura maschile e oggi ci sono più donne che uomini che la praticano. Come mai? È di certo un fenomeno interessante: chi è l'addetto all'analisi? Chi accetta di stare al “servizio di” come fa il dramaturg?

Comunque, tornando alla domanda iniziale, l’altra figura, quella del drammaturgo, rimanda al ruolo di autore, colui o colei che scrive testi. La differenza tra le due figure è molto chiara in tedesco. Il dramaturg è il "Dramaturg". Invece, chi scrive i testi è un “Dramatiker”. Entrambe le figure si occupano di “Dramaturgie”, ovvero di drammaturgia, intesa in senso ampio.

Come si sviluppa secondo te in Italia la figura del dramaturg? Conosci dei dramaturg italiani?

Sì, sì, ne conosco. Ho anche avuto lungo questi anni molte discussioni e scambi con persone che lavorano come dramaturg in Italia, per poter capire le differenze che ci sono con la Germania.

Da queste discussioni è emerso che c’è una grossa differenza tra i due paesi. In Italia, il dramaturg è molto più vicino all'autore/autrice. Mentre questo in Germania non succede: se scrivo un testo sto facendo un lavoro extra, non rientra nel mio lavoro da dramaturg. Il dramaturg in Germania non scrive, mentre in Italia la figura del dramaturg scrive molto, che sia un testo, la descrizione di una didascalia nel testo…  Perché, quindi, se il mestiere è diverso si utilizza sempre il termine dramaturg?

 Io credo che usare la parola dramaturg, a livello internazionale, sia corretto quando si fa riferimento al  “tentativo di analizzare”, alla una ricerca di capire che cosa si vuole dire attraverso uno spettacolo..

In Italia credo che questo lavoro e questo ruolo siano più difficili da realizzare, perché la figura del regista è molto forte. Spesso il dramaturg interviene in un contesto di scrittura collettiva, all’interno della quale si occupa di tirare le fila del discorso. Ma c’è sempre il/la regista che ha l’ultima parola e il/la dramaturg deve adeguarsi. In Germania, questo succede molto meno, prima di tutto perchè nel preparare uno spettacolo si parte da un testo, qualcosa di definito, il mattone della casa. Il dramaturg è chiamato a tutelare il testo. Se il regista vuole cambiare il testo, andando a modificarne il senso, il dramaturg non glielo permetterà mai.

Comunque, per concludere, una volta ho avuto uno scambio di mail con una dramaturg di Milano, Greta Cappelletti (Babygang). Ad un certo punto, io mi sono divertita a raccontarle la storia del salame ungherese. In Ungheria, si faceva un tipo di salame tagliato molto grosso, no? A un certo punto degli italiani, dei friulani, sono andati in Ungheria a lavorare come muratori ma si sono ritrovati a lavorare per queste produzioni di salami. Questi italiani hanno inventato un sistema di taglio molto più fine e hanno fatto nascere il “salame ungharese”.

Questa è un po’ la storia del dramaturg italiano: se cambi paese, in realtà, cambi anche il prodotto.

C'è un motivo secondo te per cui ci sono così pochi dramaturg in Italia?

Secondo me ci sono due motivi.

Uno è il motivo economico: avere la figura del dramaturg significa avere un costo in più.

Il secondo problema è quello che ho anticipato prima, ovvero la concentrazione del potere nelle mani della regia. In Italia, ci si trascina un’importante tradizione in questo senso, già negli anni ‘70 avevamo questi “guru” della regia. In Germania, è finita quest'epoca della persona, normalmente maschio, che comanda. Sono i dramaturg del teatro a decidere il testo che la regia metterà in scena, sono loro a decidere quale regista lavorerà su quel testo... Questo crea una differenza abissale all’interno del rapporto. Poi, in realtà, durante il lavoro si è completamente alla pari, perché il compito del dramaturg è permettere alla regia di attuare al meglio le sue idee.

C’è ancora un altro aspetto che secondo me rende complicato lavorare in Italia come dramaturg: il bisogno estremo di far emergere il proprio “io”, il bisogno di “far vedere che esisti”. Forse è una mia visione un po’ critica ma in Germania, questo bisogno c’è tendenzialmente di meno. Qui, quello che interessa è il risultato. Interessa che ogni elemento funzioni. Siamo un puzzle che insieme crea lo spettacolo, ognuno nella sua funzione. E queste funzioni non vengono mescolate come in Italia, dove uno fa regia, testo, recitazione, musiche, la scena… Tutto!

Se c’è questo mescolamento caotico di ruoli, il lavoro del dramaturg non funziona. E’ una funzione che deve essere tutelata, perché si instauri anche quella fiducia che deve esserci nel lavoro: se io ti sto criticando perché qualcosa non funziona, tu devi fidarti che lo sto facendo per il bene del risultato. E’ un lavoro di messa in discussione, che inizia nel momento in cui decidi di lavorare insieme al dramaturg, ancora prima del periodo di produzione dello spettacolo. E che continua anche dopo: oltre al dramaturg della produzione, infatti, l’ultima settimana entrano in gioco anche altri dramaturg esterni che vengono a vedere le prove e danno la loro opinione da fuori. E’ una fase dura ma anche una fase che determina la qualità del lavoro.

Secondo me, l’esistenza dei dramaturg in Germania è un sistema che garantisce una qualità di base del lavoro. E, tra l’altro, alla fine, il nome che rimarrà sulla locandina è quello della regia, non quello dei dramaturg.

Comunque, in Italia qualsiasi “messa in discussione” è molto più difficile, c’è molta più sfiducia e bisogno di “preservarsi”. Forse, anche perché è un paese dove l'esistenza dell'artista non è garantita. L’artista è obbligato a dimostrare da solo la propria esistenza. Mentre in Germania, se hai un posto in un teatro, la tua esistenza sta scritta in un contratto, non devi dimostrare niente.

Se la figura del dramaturg fosse più comune in Italia,  come cambierebbe il contesto teatrale italiano?

Finalmente ci sarebbe la diminuzione dell’ “egomania” dei teatranti… Io sono per le frasi radicali, ovviamente sto esagerando.  Però sì: riequilibrare. Togliere, come dire, degli squilibri di potere.  Che fossero le idee ad avere il potere e non le persone.

Probabilmente ci sarebbero più persone a porsi la domanda: “Che cosa vuoi con il teatro?”. E, automaticamente, il teatro avrebbe una funzione più sociale, veramente sociale. Perché, inevitabilmente, ci chiederemmo: “Cos'è la società italiana?”.

Parallelamente a questo discorso che sto facendo, ce n'è un altro, che riguarda le grandi idee che possono emergere da una persona, da questi “ego”. A volte hai in Italia delle “punte di qualità”, magari meravigliose. In Germania, essendo tutto molto schematico, queste punte estreme non ci sono, anche positive. In Italia sì, ci sono. Però mi chiedo: a quale prezzo? Ne vale la pena o no?

Su questo ho dei dubbi veramente, non so quale sia la risposta.

L'ultima domanda: secondo te, c'è drammaturgia fuori dal teatro?

Certo! La vita è piena di drammaturgie. Le migliori drammaturgie le scrive la vita.

Anche perché il teatro non è altro che un tentativo di riprodurre la realtà, con lo scopo di capirla. Perciò ovviamente, senza ombra di dubbio.

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